Il 24 Maggio per gli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati


Il 24 maggio di cento e uno anni fa lo Stato italiano entrava in guerra contro l’Impero Austro-Ungarico. Le avanguardie dei suoi reggimenti abbattevano le sbarre di confine in Trentino e nel Friuli orientale.

Sembra che oggi questa data voglia essere dimenticata quasi fosse una vergogna, per le enormi perdite di vite umane che i tre anni di guerra inflissero a due generazioni di italiani di ogni regione del paese. Contestate sono la necessità stessa dell’entrata in guerra e la legittimità della sua dichiarazione da parte del re Vittorio Emanuele III. Contestate sono le aspirazioni territoriali italiane sulle regioni confinanti dell’impero, abitate non solo da italiani autoctoni, ma anche da slavi e tedeschi. Si voleva, da parte degli irredentisti e in generale delle élite culturali, sia di orientamento progressista che nazionalista, il compimento del Risorgimento unendo all’Italia le regioni abitate da connazionali rimaste all’Austria-Ungheria dopo la Terza guerra d’indipendenza. Né si possono escludere interessi economici del capitalismo industriale che, come negli altri paesi d’Europa e d’America, vedeva nella guerra un’occasione di espansione economica.

Interessi che comunque sarebbero stati soddisfatti anche intervenendo a fianco di Austria e Germania. La Triplice alleanza era in crisi da decenni e la slealtà della casta militare austriaca è comprovata dalla pianificazione nel gennaio 1915 da parte del generale Conrad Von Hötzendorf di un’invasione del Veneto approfittando del disastroso terremoto di Avezzano.

Interventisti erano personalità come Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo, Emilio Treves, Leonida Bissolati e altri tre socialisti importanti nel futuro: Palmiro Togliatti, Benito Mussolini e Antonio Gramsci, oltre a tanti giornalisti illustri dei principali quotidiani italiani. C’è chi oggi giudica una follia suicida dell’Europa la distruzione del multi-etnico Impero asburgico, prodromo dei futuri disastri del XX secolo. Con i se però non si può fare la storia. Ammoniva Benedetto Croce.
Quello che noi, Italiani dell’Adriatico orientale, oggi esuli da oltre mezzo secolo da quelle terre che la Grande Guerra doveva ‘redimere’, l’Istria, il Quarnaro e la Dalmazia, abbiamo il dovere di ricordare, con onore e gratitudine, sono i caduti e i mutilati di tutte le regioni in quella terribile guerra, dai tratti spietati su tutti i fronti, da quello francese a quello russo. E vogliamo ricordare i nostri volontari accorsi nelle file dell’esercito e della marina italiani, che si batterono con gli altri nelle trincee, condividendo orrori e sacrifici. Se catturati venivano impiccati come traditori, come avvenne agli istriani Nazario Sauro e Fabio Filzi, nativo di Pisino, e al dalmata Francesco Rismondo, da Spalato.

E vogliamo ricordare l’entusiasmo e la passione civile con cui le truppe italiane verranno accolte nelle nostre città nel novembre del 1918.

La pietas e il rispetto della verità impongono anche di onorare i tanti giuliani e dalmati che combatterono e persero la vita sotto le bandiere giallo-nere dell’Impero Austro-Ungarico, di cui poi si rimpiangerà la fine, a fronte delle tragedie della Seconda guerra mondiale, con l’occupazione tedesca, le guerre partigiane, i massacri delle Foibe e l’Esodo di 350.000 di quegli ‘irredenti’, cacciati per sempre dalla terra natale dal regime totalitario iugoslavo. Realtà che fanno parte della storia della nazione e non si possono dimenticare per viltà intellettuale e voluta ignoranza. Oggi guardiamo all’Europa in crisi con apprensione per il futuro e temiamo il risorgere di nazionalismi che furono causa di tante sciagure. Ricordare è comprendere e prevenire i pericoli, prima che sia troppo tardi.