Testimonianza di Ireneo Giorgini


Testo e foto tratte dal profilo fb di ANVGD Arezzo a cura di Claudio Ausilio

Immagini di vita dal Centro Raccolta Profughi di Laterina (AR)

Foto dell’album privato di Ireneo Giorgini.

La storia del mio esodo inizia il 29 novembre 1950, cinque anni dopo la fine della guerra.

Mio padre optò per la cittadinanza italiana, ma la richiesta fu respinta una prima volta con la motivazione: “lingua d’uso croata”. Il ricorso venne respinto una seconda volta con la motivazione: “lingua d’uso non italiana”. Forse perché allora il nostro cognome era Juricich , di chiara appartenenza al territorio giuliano istriano dalmata.

Dal 1930 in poi, tanti cognomi furono trasformati d’ufficio in lingua italiana. Due fratelli di mio padre divennero Giorgini perché dipendenti di aziende importanti. Mio padre rinunciò perché non obbligato.

Finalmente, al terzo ricorso fu concesso il visto per partire.

Partimmo da Fiume: io, papà, mamma e il nonno materno con le nostre masserizie (10 cassoni) e le valigie. La prima tappa fu Trieste : Opicina.

Ricordo le strutture semicircolari tipo hangar con le camerate separate gli uomini dalle donne.

Scendemmo a Trieste e la cosa che mi colpì, fu una salumeria che in vetrina, aveva esposta una mortadella gigantesca (mai vista una prima di allora).. poi ricordo che mi feci comprare la Gazzetta dello Sport e la Settimana Enigmistica.

Fummo trasferiti a Udine al Centro Smistamento Profughi e dopo qualche giorno arrivò la nostra destinazione: Campo Profughi di Laterina in Provincia di Arezzo. Dove? In Toscana !

Benché avessi frequentato a Fiume le scuole italiane e studiato la geografia, conoscevo la Toscana ma che per me, si limitava solo alle città di Firenze, Pisa e Livorno.

Arrivammo a Laterina la mattina del 5 dicembre. La corriera dalla stazione ferroviaria ci lasciò dopo 5 km di strada bianca (ma dove stiamo andando?), davanti a una stradina. Scendemmo e in lontananza vedemmo un agglomerato di costruzioni basse.

Ci avvicinammo con le nostre valigie e una persona ci chiese : “Da dove venì?“ ovviamente in dialetto. “Da Fiume.” – “Andè a presentarve in Ufficio”.

E da lì è iniziata la nostra carriera di ospiti del CRP Centro Raccolta Profughi.

In Italia erano presenti circa 120 strutture… “Location“, si direbbe oggi!

La nuova vita iniziò lì.

Lascio immaginare i miei genitori, all’epoca quarantenni, nel vedersi assegnare un alloggio alla “Baracca 12”, condiviso con un’altra famiglia.

Il personale del CRP ci aiutò a trasportare dal magazzino le brande, i pagliericci e la paglia per preparare i nostri giacigli, mentre il nonno fu invece immediatamente ricoverato nell’infermeria del campo: aveva 82 anni.

I muratori ci costruirono in mezza giornata un fornello a legna tutto in cemento.

L’acqua si prendeva alla fontana in uso comune e i servizi igienici erano in fondo al campo (bisogna tenere presente che queste baracche furono costruite in tempo di guerra come campo di concentramento per i militari alleati e poi per i militari tedeschi, e i primi profughi arrivati nel ’48 trovarono ancora il filo spinato di recinzione).

Io, ragazzino quattordicenne, mi adattai subito, e a gennaio ripresi la scuola ad Arezzo insieme ad altri ragazzi e ragazze: Avviamento Professionale, Liceo, Istituto Tecnico Industriale, Ragioneria.

Questo per quattro anni.

Alcune amicizie le coltivo ancora oggi a Torino con ex ragazzi e ragazze, compagni di scuola di allora, qui residenti.

La vita era ben organizzata: al mattino a scuola!

Il primo anno (1951) si andava ad Arezzo in treno, ma prima prendevamo la corriera dal campo fino alla stazione ferroviaria, poi la corriera fino alla stazione, andata e ritorno, servizio pagato dalla Post Bellica, libri scolastici compresi. Peccato che a volte gli orari ferroviari non coincidevano con quelli della corriera, per cui si doveva aspettare quello della sera per 4 ore oppure fare 5 km a piedi.

Si facevano in allegria quei chilometri tagliando per i prati, i boschi e gli argini dell’Arno.

Si pranzava alle 15.00 e poi a ”giogar la bala” quando c’era il pallone, il più delle volte giocavamo scalzi su un campo di terra. Immaginarsi quando l’alluce sbatteva contro una pietra. Si andava di corsa in infermeria a farsi medicare, e la signora Virginia, l’infermiera del campo, ci rimproverava: ”Sempre con sta bala. Meteve le scarpe!”. “E con cossa andemo a scola: discalzi?” era la mia risposta. 

Il tempo libero per gli adulti era impiegato nel rendere più confortevole il soggiorno al campo. L’imbiancatura delle camerate, creare e curare piccoli giardinetti, chi si inventava un orticello, chi allevava qualche gallina, chi andava a fare un po’ di spesa nelle fattorie vicine.

Noi giovani più che giocare nelle campagne, fare i bagni nell’Arno durante l’estate, ascoltare alla radio il Campionato di calcio, il Giro d’Italia e giocare a scacchi (e tanto), studiavamo!

Poi ci fu l’avvento della TV. In paese, un negozio di elettrodomestici (siamo nel 1954) aveva messo in vetrina. il primo televisore. La domenica pomeriggio ci si accalcava davanti alla vetrina, allungando il collo, per vedere la partita, mentre la domenica sera, al Salone ACLI, si andava a vedere la “Domenica Sportiva”.

C’era anche il cinema con la proiezione serale.

Fu lì, che mio padre durante la proiezione del film ”The per due” con Doris Day, mi sorprese a fumare una sigaretta e mi tirò ceffone talmente forte che tutta la gente si voltò a guardare!

Nel 1954 venne il sospirato trasferimento alle Casermette di Borgo San Paolo a Torino.

E qui inizia un’altra storia.

Chi scrive é Ireneo Giorgini.

Avrete notato che nel 1945 si chiamava Juricich?

Arrivati a Torino, i due fratelli di mio padre insistettero affinché anche lui cambiasse il cognome per una questione di coerenza. E mio padre acconsentì.

A Torino ho frequentato la terza ragioneria con il cognome Juricich, mentre in quarta ero diventato Giorgini, ma ancora oggi, dopo 60 anni, i miei ex compagni di scuola mi salutano dicendo “Ciao Juricich.”

Nel 1969 mi sono sposato con una ragazza torinese. Carla.

In viaggio di nozze siamo passati da Laterina e ci siamo ritornati nel 1987, con nostra figlia Emanuela, quindicenne.