Teniamo viva la memoria storica ma lavoriamo anche per ritornare


Pubblichiamo l’intervista al Presidente della FederEsuli, Antonio Ballarin, curata da Rosanna Turcinovich ed apparsa sul mensile Panorama del 15 febbraio 2016, periodico della Minoranza italiana in Slovenia e Croazia. Ogni anno diverso, sempre impegnativo, denso di aspettative, non privo di risultati, il Giorno del Ricordo dell’Esodo e delle Foibe è diventato legge nel 2004 e da allora è e rimane uno degli impegni fondamentali dell’associazionismo giuliano-dalmato in Italia e nel Mondo, spalmato nel corso dell’anno, sempre presente negli impegni e presentazioni. Ma anche un’occasione di riflessione ed innovazione, perché segnare il passo sarebbe deleterio. Dopo sessant’anni di silenzio sulla vicenda dell’Adriatico orientale, l’imperativo di rimanere visibili ed attenti impegna tutte le strutture, dalla FederEsuli con le sigle che ne fanno parte, all’autonoma Unione degli Istriani, dalle associazioni culturali, ai singoli testimoni, sempre meno numerosi ma ancora indomiti narratori di fatti, accaduti, l’epopea di un popolo. Antonio Ballarin, oggi Presidente di FederEsuli, è stato al vertice dell’ANVGD, è figlio di esuli da Lussingrande, “mularìa” del Quartiere giuliano-dalmato di Roma, un raro caso nel panorama italiano di dirigente coinvolto anche personalmente in un vicenda storica che riguarda direttamente la sua famiglia. Il Giorno del Ricordo nasce da un incontro pubblico proprio nel Quartiere, nel 2003, con la partecipazione di esponenti politici di tutto l’arco costituzionale, l’anno dopo diventa legge. E’ già possibile, dopo più di un decennio tracciare dei bilanci, magari iniziando dalle attese dei primi momenti. “Votata la legge al nostro mondo non sembrava vero di poter uscire allo scoperto, occupandoci a tutti i livelli di storia e memoria ed identità finalmente tutelate: un punto d’arrivo agognato ed impensabile per tanti anni. Ma raggiunto questo traguardo la domanda che sorse spontanea è stata, come fare ad attuare la legge nel migliore dei modi? Sono seguiti anni di intensa attività, di divulgazione della nostra memoria che ha segnato un percorso importante, fondamentale, che considero ancora in itinere”.

D: Il ruolo dei Presidenti della Repubblica che hanno voluto fare propria la ricorrenza, scendere in campo. Che cosa ha significato per gli esuli?

“Direi sia stato basilare. Hanno saputo esprimere un senso di alta civiltà, per certi versi inaspettata, visto il lungo silenzio. In effetti il volano di questa legge sono state le più alte cariche dello Stato. A partire dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi che ricordo nella prima cerimonia all’Altare della Patria dove mi ero recato nel 2004, proprio con mio padre. Da lì il grande impulso al nostro mondo. Ma la sorpresa arrivò con il Presidente Giorgio Napolitano che scese in campo con forza, attivando un processo di rielaborazione storica, accanto ad una certa autocritica, all’interno di quello stesso mondo di sinistra dal quale proveniva. Un uomo che, oltretutto, ci ha accompagnati negli anni seguenti, reiterando ogni anno una promessa fondamentale sia con i suoi interventi, ma anche con azioni che andavano al di là del Giorno del Ricordo. Come non ricordare il ruolo fondamentale del concerto del M.ro Muti a Trieste alla presenza dei tre Presidenti, o l’incontro con Ivo Josipovic all’Arena di Pola. Per noi ha significato tutto, sentivamo finalmente un’istituzione che ci sorreggeva”.

D: Irripetibile?

“No, direi di no. Penso abbia segnato una strada che le istituzioni continuano a ripetere nel rapporto con il nostro mondo. Prova ne sia il fatto che il presidente Sergio Mattarella, nel febbraio del 2015, appena eletto, una delle prime uscite ufficiali, dopo l’omaggio alle Fosse Ardeatine, l’ha fatta nel Giorno del Ricordo incontrando la nostra gente alla Camera. Anzi, rammento che ci aveva chiesto gentilmente di cambiare l’orario della celebrazione per potervi partecipare. Il che denota una grande sensibilità nei nostri confronti”.

D: Le cerimonie si svolgono in tutto il Paese ma anche all’estero. Sono perlopiù frutto di un impegno spontaneo. Quale significato assumono?

“Direi un duplice significato. Il primo, le persone si impegnano nelle celebrazioni del Giorno del Ricordo proprio perché esiste un’attività pregressa e presente, importante e capillare sul territorio che ha avuto la capacità di trascinare e coinvolgere nella condivisione le varie località. E poi c’è la partecipazione delle istituzioni di comuni grandi e piccoli che, come FederEsuli, ho avuto modo di verificare e che comprendono l’importanza del concetto di memoria, che tocca anche noi attraverso l’esodo e le foibe. Direi una maturità che permea la società, il che ci fa piacere, perché aiuta e stimola a prendere coscienza della nostra dimensione”.

D: Le municipalità più difficili da coinvolgere? Ci sono delle sacche di resistenza?

“Purtroppo sì. Quelle che hanno meno sensibilità per i temi civili o che provengono da un’area radicale ideologizzata, per fortuna si tratta di una esigua minoranza. Posso citare un fatto di Milano l’altr’anno, quando un rappresentante di estrema sinistra ha negato l’organizzazione del Giorno del Ricordo. Ma si tratta della stessa formazione che in Parlamento non aveva votato la legge, quindi prevedibile e comunque di un’area molto limitata.Sono gli ambiti più difficili da penetrare ma non fanno la differenza”.

D: Il negazionismo però è sempre presente, con quali disagi?

“Si tratta di una frustrazione ma anche di un dispiacere, non solo perché non rappresentano adeguatamente il Giorno del Ricordo ma per la mancanza di una sensibilità da società civile moderna, sono portatori purtroppo di una percezione retrogada. Dopodichè che cosa succede realmente in questo mondo? All’interno del loro stesso ambito, mi riferisco a Rifondazione comunistaed all’ANPI sostanzialmente, abbiamo colto due visioni politiche ben distinte: da una parte persone colte, vedi il Presidente dell’ANPI Smuraglia, Napolitano stesso o Violante, che hanno approfondito la nostra storia e ne hanno capito il dramma, e sono in grado di rivedere le proprie posizioni. Dall’altra parte c’è chi nega per solo partito preso, senza un percorso ragionato: sono le frange più chiassose ma chiaramente minoritarie. Il disagio nostro è nella frustrazione e nel dispiacere per la mancanza di un’elaborazione da parte di persone che non sono né disposte ad ascoltare le nostre testimonianze, né di cogliere le posizioni degli studiosi della loro stessa parte che affrontano in modo scientifico, le vicende della nostra storia”.

D: Secondo Lei il mondo dell’informazione si dimostra all’altezza delle aspettative?

“Diciamo che si dimostra solo in parte all’altezza della situazione anche perché è difficile colmare un lungo periodo d’inesistenza. E mi riferisco all’informazione nel senso più generale, dalla carta stampata al teatro. In realtà alcune testate nazionali sono presenti nel Giorno del Ricordo e dimostrano un alto livello di correttezza morale parlando di noi più volte all’anno e non solo in occasione della celebrazione. Per quanto riguarda l’aspetto multimediale, cinema, televisione, non siamo assolutamente rappresentati. Non esiste un grande film sulla nostra realtà o su qualche personaggio chiave della nostra vicenda… e ce ne sono che meriterebbero di essere raccontati. Esiste invece una realtà teatrale che comincia ad essere significativa, accanto a Magazzino 18, sono nate diverse piece di rispetto. Vorrei citare il lavoro di Luca Andreini ma ce ne sono anche altre.

In ogni caso però rimane ancora molto da fare”. D: Magazzino 18 rappresenta ancor sempre la massima espressione artistica di una vicenda come la nostra. Ha avuto o sta avendo, secondo Lei, il giusto riconoscimento? Che cosa auspica?

“Nel mondo della comunicazione, brilla come una stella la performance di Simone Cristicchi. Ha raggiunto un grande successo di pubblico, la conferma della critica ed una diffusione capillare sul territorio, è andata in onda per due volte alla Tv anche se in orari difficili e nonostante ciò lo share è stato altissimo. Ciò che auspichiamo sono tanti Magazzini 18 ma anche film di questo genere. Il motivo è semplice, si tratta di strumenti con un messaggio diretto che la gente coglie immediatamente rendendo fruibili tematiche complesse, presentate con estrema delicatezza. Per noi diventano un punto di riferimento assoluto”.

D: Magazzino 18 è nato quasi per caso, cosa si può fare perché eventi di questo tipo succedano perché voluti, programmati, supportati, anche dall’associazionismo?

“Dal punto di vista associativo, fondi permettendo, ciò che abbiamo in mente di fare, è di occupare questo spazio tutt’ora vuoto o ancora vuoto in parte: vorrei sottolineare un dato che reputo di estrema importanza. Poter contare sui mezzi della legge 72 ha portato ad una produzione libraria impensabile, enorme. Dare concretezza a letteratura e saggistica era una necessità impellente, ora dobbiamo orientarci anche su attività multimediali, e vorrei citare uno degli ultimi lavori in questo campo, il documentario di Quadretti su Vergarolla, questa è la direzione”.

D: Mentre il 10 Febbraio viene ricordato in moltissime città italiane ed anche al Senato della Repubblica, le associazioni si trovano in difficoltà per le lungaggini ed i ritardi della legge del Governo che finanzia le loro attività. Come spiega questo scollamento?

“E’ molto semplice, è vero esiste un totale scollamento tra la volontà politica che ci tutela e la procedura burocratica che ci penalizza. Da una parte, come abbiamo avuto modo di constatare con il rifinanziamento della legge per il prossimo triennio, c’è questa attenzione politica trasversale nei nostri confronti che copre le nostre necessità fino al 2021. Gli emendamenti sono stati votati a larghissima maggioranza, cosa non scontata nel momento in cui si procede a pesanti tagli dappertutto. Si tratta di un successo politico enorme…a fronte di questo però, esiste dall’altra parte una macchina burocratica che non segue i dettami della politica e che ci costringe a batter cassa continuamente tanto che solo ora sono ripartiti i finanziamenti del 2013. Il problema è rappresentato dalla legge stessa che si basa sul rimborso dei rendiconti e non sui finanziamenti”.

D: Perché non si è cercato di cambiarla, con l’aiuto della politica, e renderla confacente ai reali bisogni del mondo associativo?

“In realtà è un processo che è stato messo in cantiere. Ma capiamoci, la stessa calendarizzazione di una legge al Senato o alla Camera, in un momento in cui si sta sopprimendo il Senato, è una cosa di una complessità estrema. Io me ne occupo solo da qualche anno ma posso dire che nel dialogo Esuli-Governo la questione è stata posta chiedendo che la legge venisse rimodulata. Non posso rispondere per le mancanze precedenti al mio mandato ma ora ci stiamo muovendo”.

D: In occasione del Giorno del Ricordo è stata ribadita la necessità di celebrarlo insieme, esuli e rimasti? Non è ancora il momento o le difficoltà sono altre?

“Bisogna prendere ad esempio ciò che sta succedendo nella comunità di Umago, è un momento emblematico anche in considerazione del fatto che la Croazia è entrata nell’Unione Europea solo nel 2013 e subito si è proceduto a celebrare insieme la ricorrenza. La FederEsuli vede in modo positivo questa iniziativa, anzi, ho voluto mandare, nell’occasione, un mio indirizzo di saluto che verrà letto in Comunità dove insieme celebreranno esuli – che giungeranno ad Umago da Trieste guidati da Silvio Delbello – e rimasti con la loro presidente Floriana Bassanese Radin. E’ un solo esempio ma apre certamente una strada”.

D: E’ una manifestazione spontanea, FederEsli e UI ufficialmente non propongono nulla?

“E’ da un anno soltanto che dialogo con l’Unione, dateci il tempo di costruire contatti e collaborazioni per andare al di là dell’aspetto puramente istituzionale. Ci conforta il fatto che i contatti tra esuli e rimasti già esistano anche se in maniera destrutturata. E’ ovvio che tutto il resto seguirà, non c’è alternativa e nella naturalità delle cose, rientra in quel discorso di identità, memoria e prospettiva di cui fino a qualche anno non si parlava neanche e che oggi sono acquisite da tutti. Noi esuli siamo la memoria storica di alcuni eventi, chi vive di là rappresenta la prospettiva e la presenza sul territorio che rafforza la nostra identità. Per cui il lavoro non può che essere comune”.

D: I testimoni dell’esodo stanno scomparendo per ragioni anagrafiche. Sono generazioni di persone che si conoscevano tra loro, cosa che non succede con figli e nipoti. Il 10 Febbraio dovrebbe servire anche a questo, ricomporre una geografia umana scompaginata dalla storia?

“Lo stiamo facendo adesso. Pensiamo alla storia della mia famiglia, io ho tre figli nati a Pomezia, mentre i miei nipoti sono nati a Lussingrande. Quando vanno sull’isola cosa succede? Stanno insieme parlando il dialetto, con inflessioni diverse. Sono queste nuove generazioni che stanno costruendo il punto d’incontro di un senso identitario condiviso nell’amore per una terra.  Su questo, siamo noi adulti che dobbiamo instradare e dare degli indirizzi anche in considerazione che lo stiamo facendo da soli tre anni a questa parte. Succedeva anche prima ma non con una coscienza vera, chiara, che si sta elaborando solo ora con le cose che abbiamo messo in campo. Solo ora chiediamo alla nostra gente di andare in Istria ad incontrare le Comunità, a prendere contatti, ad usare il dialetto perché così si contribuisce a dare maggior vigore a chi vive là, nelle nostre comuni terre. Il sostegno economico è fondamentale ma se ci sono anche quello morale ed identitario, anche le Comunità vivono meglio, sta a noi, nelle città in qui viviamo in Italia, fare in modo che la gente ci conosca, sappia perché i nomi delle città vanno detti in un certo modo”.

D: La FederEsuli come considera il ruolo dell’UPT nel mantenere e promuovere la cultura italiana sul territorio di Istria, Fiume e Dalmazia?

“Istituzionalmente l’UPT è l’ente che ha la cassa e che si occupa quindi, per legge, dell’erogazione dei finanziamenti a nome del Governo, per progetti decisi insieme a beneficio della comunità italiana, tutto il resto compete alle Comunità autoctone rette da organismi democraticamente eletti che possono portare avanti progetti con le associazioni degli esuli che sono l’interfaccia naturale e che sempre più spesso si proporranno di costruire eventi ed occasioni d’incontro. Non considero l’UPT come una cerniera dei rapporti tra esuli e rimasti, almeno io non la vedo in questo ruolo”.

D: Che cosa significa oggi, passare il testimone: è ancora possibile?

“E’ già avvenuto, ormai quasi tutte le associazioni sono rappresentate dalle seconde generazioni e fano capolino le terze che sono riuscite a coinvolgere anche tanta gente di buona volontà che ci cammina accanto e vuole approfondire la conoscenza delle nostre vicende. La prima generazione, nel fare testimonianza in vario modo della loro esperienza, ha demandato a noi di continuare su una strada diversa ma funzionale ad una meta comune”.

D: La collaborazione con i Giuliani nel Mondo per quanto riguarda le nostre comunità all’estero, come procede?

“Si tratta di un altro fattore emblematico. Un esempio, Bruno Cernecca che ci rappresenta a Londra, poco sapeva della vicenda esuli, foibe, rimasti, mi ha chiamato, ci siamo parlati e il Giorno del Ricordo ci sarà una cerimonia con rappresentanti diplomatici a significare che l’interesse esiste, è reattivo, funziona. Per cui vedo la collaborazione con i Giuliani nel Mondo come un fattore fondamentale delle nostre vicende umane in quanto, in parte, l’Associazione ci contiene”.

D: Il MIUR tiene ogni anno il seminario per gli insegnanti, segna un momento di stasi o continua a crescere? In che modo? Quale la percezione del Paese?

“Per sette anni, anche in un momento di ristrettezze economiche, abbiamo continuato a supportare i seminari del MIUR per i docenti delle scuole di tutta Italia. E non si è mai interrotta la collaborazione neanche per quanto riguarda i concorsi per le scuole che si conclude alla cerimonia del 10 Febbraio a Roma, quest’anno al Senato, negli anni scorsi sia al Quirinale che alla Camera. E’ una vicenda strategica, il nostro obiettivo è di fare inserire il tema del Trattato di Pace e confini orientali in maniera stabile nei programmi di studio approvati dal Ministero. Questa collaborazione non segna affatto il passo, anzi, è un processo attivo, vivace, fattivo. E dirò di più, è una parte importante della nostra attività istituzionale che trae spunto dall’attività su tutto il territorio dell’associazionismo degli esuli. Gli attori principali sono proprio le scuole”.

D: Che cosa fare per continuare a crescere econtinuare ad esistere oltre a ricordare?

“Si cresce nel momento in cui la memoria che noi promuoviamo diventa un valore della società civile e fa crescere l’animo umano, addolcendolo, dandogli la possibilità di capire che esiste una prospettiva nella propria vita e che non è semplicemente tutto interesse privato. Piùsiamo capaci di raccontare i valori alti della persona più la gente si appassiona alla nostra vicenda, tanto più che contiene un concetto primario,quello dei diritti negati.  In una società che cerca di assegnare diritti ad ogni persona, la consapevolezza della nostra storia non può che spingerli a lasciarsi coinvolgere. Così abbiamo aggregato ed aumentato le fila delle nostre associazioni. Non è vero che le nostre associazioni moriranno con lo spegnersi dell’ultimo esule, non è così”.

D: La Giunta del Libero Comune di Fiume ha approvato ed inoltrato una richiesta di cittadinanza croata per chi lo volesse, per i figli e discendenti degli esuli che volessero stabilire nei luoghi di provenienza dei padri, la loro residenza. Cosa ne pensa?

“E’ la prima cosa di cui abbiamo ragionato con l’Ambasciatore della Croazia, DamirGrubisa, durante il nostro primo incontro di due anni fa. Siccome esiste una legge che garantisce la cittadinanza italiana ai connazionali autoctoni che vivono in Slovenia e Croazia, sarebbe bello fare la medesima cosa per noi figli di esuli di seconda e terza generazione, semplicemente perché proveniamo da quella terra, le nostre radici sono là. Era una richiesta informale fatta come presidente dell’ANVGD, ora che ricopro il ruolo di Presidente della FederEsuli, mi propongo di farla in modo formale. Per una ragione molto semplice. Tutti noi torniamo nei luoghi di provenienza, possiamo iscriverci alle Comunità ma come cittadini croati si avrebbe anche la possibilità di partecipare in modo fattivo, per esempio votando insieme gli organi direttivi. O frequentare una università in Istria o a Fiume ma poi inserirsi nel mondo del lavoro a pieno titolo”.

D: Che cosa ne pensa di un unico grande incontro di tutta la nostra comunità sparsa?

“Lo auspico per l’anno prossimo, a settant’anni esatti dal Trattato di Pace, a settant’anni da una terribile lacerazione.Possibilmente a Trieste con tutte le associazioni riunite e tutte le Comunità degli Italiani, nel nome dell’amore per la nostra terra, che è il nostro grande punto d’unione. Per ribadire insieme che, si chiude un’era, se ne sta aprendo un’altra, senz’altro più bella”.