Intervento del Prof. de Vergottini alla cerimonia del Giorno del Ricordo 2021


Intervento del Prof. Avv. Giuseppe de Vergottini, Presidente della Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, alla cerimonia istituzionale del Giorno del Ricordo 2021 svoltasi nel Palazzo dei Gruppi parlamentari (Roma) mercoledì 10 febbraio.

La legge 30 marzo 2004, n. 92, nel prevedere il Giorno del Ricordo confermava la drammaticità dell’esodo della quasi totalità della popolazione italiana dei territori giuliani causata dalla violenza subita dopo l’8settembre 1943 e al termine del secondo conflitto mondiale.

Si colmava così il vuoto che si era creato fra la memoria degli esuli e quella dell’intera Nazione. Non si può non ricordare che non solo gli istriani, i fiumani e i dalmati erano stati costretti a pagare per conto di tutto il Paese le conseguenze catastrofiche di una guerra sciagurata, ridotti a mero oggetto di scelte altrui, ma che sulla sorte delle vittime e dei sopravvissuti era caduto un silenzio protrattosi troppo a lungo. Paradossalmente con i loro beni abbandonati e poi nazionalizzati dal regime di Belgrado lo Stato italiano, contravvenendo alle disposizioni del trattato di pace, saldava parte delle riparazioni dovute alla Jugoslavia mentre ancora non ha corrisposto un equo indennizzo agli esuli ed ai loro discendenti.

La legge del 2004 rappresentava quindi una sorta di risarcimento morale che la Repubblica ha deciso per un doveroso ufficiale reinserimento del popolo degli esuli nella comunità nazionale.

Dopo gli eventi degli ultimi anni della guerra e del dopoguerra è stata purtroppo costante per lunghi anni l’emarginazione della presenza dei giuliani: esclusi dalla storia nazionale e dimenticati dalla cultura e dal mondo della informazione.

E in realtà la storia ha congiurato per portare a questo stato di fatto.

Cominciamo dalla preclusione per quasi un milione di cittadini della Venezia Giulia della possibilità di sfruttare il recupero delle istituzioni democratiche. A Trieste, a Gorizia, in Istria, nel fiumano e a Zara non c’è stato un 25 aprile ma in quei giorni si è vissuto in un clima di paura e sopraffazione da parte dell’occupante jugoslavo. Non fu possibile nei mesi successivi la partecipazione alla rinnovata dialettica politica che andava sviluppandosi in tutto il territorio nazionale. Alla Assemblea Costituente furono assenti i 13 deputati previsti per la XII Circoscrizione (Trieste e Venezia Giulia-Zara) in quanto sottoposti alla occupazione jugoslava.

Se è vero che il dibattito Costituente fu un passaggio fondamentale per la definizione dei valori fondanti della Repubblica, è agevole comprendere quanto sia stato drammatico per gli italiani dell’Adriatico orientale – ancora nominalmente sotto sovranità italiana – sentirsi esclusi dal momento costituente e abbandonati a un incerto destino. Non furono parole di circostanza quelle pronunciate da Vittorio Emanuele Orlando, presidente provvisorio dell’Assemblea che decise di inaugurare i lavori ««Nel ricordo del dolore disperato di quest’ora, nella tragedia delle genti nostre di Trieste, di Gorizia, di Pola, di Fiume, di Zara, di tutta la Venezia Giulia, le quali però, se non hanno votato, sono tuttavia presenti, poiché nessuna forza materiale e nessun mercimonio immorale potrà impedire che siano sempre presenti dove è presente l’Italia».

La vittoria delle democrazie avrebbe dovuto consentire il rispetto del principio di autodeterminazione ma nessuna possibilità è stata consentita ai giuliani di pronunciarsi in un ventilato plebiscito a favore della permanenza o della separazione dallo stato italiano. Il mancato rispetto della considerazione della volontà delle popolazioni giuliane fu ricordato da De Gasperi nel noto intervento del 10 agosto 1946 alla Conferenza di Parigi e, successivamente, da Benedetto Croce nella sua perorazione contro la ratifica del trattato di pace davanti alla Assemblea Costituente il 24 luglio 1947, quando affermava che nei confronti dell’Italia «contro gli impegni della cosiddetta Carta Atlantica, (sono) introdotte clausole che violano la sua sovranità sulle popolazioni che le rimangono».

Non è restato altro che dovere subire l’annessione alla Jugoslavia dei quattro quinti del territorio con la sola dura alternativa dell’esodo e della precaria sistemazione nei campi profughi, per molti addirittura divenuti crude e fredde dimore per decenni.

Dopo il trattato di pace, i successivi accordi con la Jugoslavia fino al c.d. Trattato di Osimo sono stati negoziati in segreto, ponendo gli italiani della regione di fronte a una serie di fatti compiuti.

Chi le vittime?

Il disinteresse dell’Italia ufficiale per le sofferenze della popolazione civile, per la atroce fine di tanti innocenti, per la decurtazione di un’ampia porzione del territorio nazionale per il cui riscatto l’Italia aveva pagato un altissimo contributo di vite nel primo conflitto mondiale, era apparsa quindi del tutto inaccettabile alla comunità degli esuli.

Vorrei qui ricordare che vittima di quelle efferate atrocità dopo l’8 settembre fu essenzialmente la popolazione civile, e che dopo la fine del conflitto l’occupante jugoslavo procedette alla eliminazione di chi fosse considerato fascista o collaborazionista o semplicemente fosse ritenuto oppositore alla annessione del territorio alla Jugoslavia. In questa fase si ebbe anche la eliminazione dei membri dei Comitati di liberazione formati da italiani. L’annessione comportava l’esodo degli italiani completando l’opera di snazionalizzazione dei territori adriatici già completata in Dalmazia in seguito al trattato di Rapallo del 1920.

Si attuava quindi una politica di occupazione che prevedeva il trasferimento nei territori giuliani di persone provenienti dalle diverse regioni jugoslave. In questo clima gli italiani dovettero rassegnarsi all’abbandono delle proprie case per sfuggire alle violenze e al clima di intimidazione introdotto dal nuovo potere popolare. Per la prima volta nella storia il cambio di regime nei territori adriatici fu accompagnato dalla radicale modifica della bilancia etnica, a differenza di quanto era avvenuto al cessare della sovranità veneziana alla fine del diciottesimo secolo e di quella asburgica nel 1918.

Approfondimento storico.

La data odierna costituisce il momento della condivisione nazionale del dramma delle foibe e dell’esodo. Purtroppo dobbiamo prendere atto che persiste nel mondo della cultura e dell’informazione un orientamento minoritario per noi inaccettabile inteso a contestare le finalità della legge del 2004. Contro negazionismi e riduzionismi opponiamo il richiamo alla ragione senza entrare in sterili polemiche. Negare, giustificare e ridimensionare quanto patito costituisce una nuova e grave forma di violenza.

Noi siamo convinti che sia giusto e doveroso non dimenticare questa parte della storia nazionale contribuendo a farla conoscere a chi è ancora all’oscuro di queste vicende. Ovviamente parlare delle foibe e dell’esodo come ci incoraggia a fare la legge del 2004 non significa impedire la riflessione sulla complessità dei rapporti dell’Italia con le popolazioni slave e analizzare senza remore e preclusioni ideologiche e con la serietà dell’indagine storica le innegabili responsabilità italiane del passato.

Noi non abbiamo certo timore della verità storica purchè sia verificata ad opera di istituzioni competenti e ricercatori interessati ad approfondire con onestà intellettuale la conoscenza di un periodo controverso della nostra storia nazionale.

Non condividiamo letture improprie dei fatti che conducano sia a enfatizzare che, all’opposto, a minimizzare il numero delle vittime. Purtroppo la consistenza dell’esodo italiano che ha spinto all’abbandono del territorio quasi il 90% della popolazione autoctona è un dato incontestato e incontestabile che parla da solo.

Riteniamo a questo proposito che è forse tempo per rilanciare la proposta di istituire nuove Commissioni storiche bilaterali italo-slovene ed italo-croate, a 20 anni di distanza dalla precedente esperienza della sola italo-slovena, al fine di affrontare in uno spirito maggiormente collaborativo le più recenti pagine di storia dell’Adriatico orientale, alla luce degli eventi dal carattere fortemente simbolico nel frattempo avvenuti e che il mondo degli esuli ha sempre accolto con profonda condivisione (entrata di Slovenia e Croazia nell’UE, concerto dei Tre Presidenti, concerto all’Arena di Pola, e da ultimo l’incontro dei Presidenti italiano e sloveno a Basovizza il 13 luglio dell’anno trascorso, equiparazione da parte del Parlamento Europeo dei totalitarismi comunista e nazifascista con la risoluzione del 13 luglio 2020, la scelta della duplice realtà di Gorizia come Capitale europea della cultura 2025). È in questo rinnovato clima che vogliamo vedere un fattivo impegno a superare le avversità del passato impegnandoci tutti al di fuori di retoriche di circostanza.

Un gesto di riparazione umanitario.

Riteniamo doveroso chiedere alle nostre Istituzioni un puntuale aiuto non più procrastinabile per onorare le vittime delle stragi di più di settant’anni fa. Non possiamo più consentire che i luoghi in cui avvennero le esecuzioni dopo l’8 settembre 1943 e nel periodo postbellico siano ancora prive di apposite targhe di riconoscimento e siano spesso trascurate e a volte di problematica individuazione. Non è ammissibile negare alle famiglie delle vittime di potere ricordare sul posto i propri cari. La questione è particolarmente inaccettabile se si pensa che molte di queste vittime furono civili come avvenuto il 18 agosto 1946 a Pola, ancora territorio italiano, dove un centinaio di persone furono uccise sulla spiaggia di Vergarolla nella prima strage subita dalla Repubblica.

Si aggiunge il problema della ricerca dei resti di persone uccise e deportate dopo la fine del conflitto vittime certe di uccisioni. Si tratta di una questione ancora oggi di attualità come dimostrano i ripetuti e anche recentissimi ritrovamenti di numerose foibe e fosse comuni in territorio oggi sloveno e croato che potrebbero contenere anche i resti di nostri connazionali, come ha prospettato il Sindaco di Gorizia nel richiedere al Governo un intervento per la ricerca dei concittadini prelevati nel maggio del 1945. Oggi appare credibile la necessaria assistenza delle autorità slovene e croate come indica la collaborazione prestata per il recupero dei resti delle vittime di Castua e di Ossero. Riteniamo che all’azione delle nostre autorità diplomatiche possa fruttuosamente unirsi la collaborazione della Unione Italiana, l’organismo rappresentativo della nostra minoranza presente sul territorio con cui la Federazione attivamente collabora.

Conclusivamente quali sono le aspettative delle associazioni che custodiscono la memoria dell’esodo?

Come anticipato riteniamo essenziale il mantenimento dell’attenzione da parte del mondo della scuola sottolineandosi che soltanto attraverso l’azione attenta dei docenti dei diversi ordini di scuole sarà possibile far considerare gli eventi che oggi ricordiamo come parte della storia nazionale. Si unisca l’incoraggiamento dell’analisi storica anche attraverso la ricostituzione di commissioni di esperti aperte alla partecipazione di esponenti delle attuali realtà statuali della regione.

Per la ufficializzazione della memoria abbiamo da tempo suggerito di inserire una sezione espositiva sulla storia del confine orientale, con particolare riferimento all’esodo, all’Altare della Patria in un settore dell’ala del Vittoriano solitamente dedicata alle mostre. Si tratta di realizzare il progetto predisposto già al tempo della presidenza Ciampi e che richiede la condivisione del MIBACT.

Prendiamo atto con soddisfazione che i rapporti fra la Repubblica e gli stati contermini, grazie all’ attenta azione politica e diplomatica hanno segnato negli anni recenti evidenti progressi. Speriamo che in questo rinnovato clima e nella condivisione dei valori che caratterizzano il Consiglio di Europa e la Unione europea di cui insieme facciamo parte sia possibile trovare una onorevole soluzione per intraprendere tutte le necessarie ricerche delle vittime e per dare riconoscimento ai luoghi delle esecuzioni.

In considerazione della dimostrata disponibilità delle autorità croate a collaborare nelle riesumazioni di Castua e di Ossero, vogliamo ben sperare in merito alla definitiva assegnazione della Medaglia d’oro al gonfalone della Città di Zara. Non da ultimo, pur nella consapevolezza della presenza di un ostacolo di natura formale alla revoca, non possiamo ignorare la ferita morale che comporta l’onorificenza a suo tempo assegnata al dittatore jugoslavo.

Infine, è assolutamente necessario insistere per l’adempimento di tutte quelle obbligazioni, economiche ma anche di tutela dei diritti e dei valori che ancora oggi, pur scritte in trattati bilaterali, non trovano totale ottemperanza.

Ringraziamenti

Con queste premesse ringraziamo il Parlamento per l’impegno con cui ha seguito e segue le nostre vicende. Diamo atto con viva gratitudine al Presidente della Repubblica di essersi, costantemente dimostrato attento al significato dei valori che caratterizzano l’identità nazionale e consapevole del significato dei sacrifici sopportati con dignità e decoro dalla comunità degli esuli. Siamo grati alla Presidenza del Consiglio, ai Ministeri degli affari esteri e dei beni culturali per l’aver seguito con impegno la realizzazione dei progetti finalizzati alla salvaguardia del nostro patrimonio culturale e al Miur per l’incessante attività diretta a diffondere nelle scuole la conoscenza delle nostre vicende.

Giuseppe de Vergottini
Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati