Foibe e giustificazionismo


Il Presidente della FederEsuli Dott. Antonio Ballarin risponde a Stojan Spetic:

Egregio Senatore Stojan Spetic,

Noi esuli restiamo allibiti di fronte alle parole che leggiamo nella missiva da Lei indirizzata al Presidente della Repubblica Mattarella e pubblicata il 29 dicembre u.s. sul sito:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-foibe_lettera_dellex_senatore_stojan_spetic_al_presidente_della_repubblica_mattarella/82_32355/

In pratica, a più di 75 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale, ciò che apprendiamo è che Lei e, immaginiamo, molti della Sua parte politica, restate saldamente ancorati al pensiero di un Vostro compagno di partito, Piero Montagnani, il quale, in un articolo pubblicato su L’Unità sabato 30 novembre 1946, imponeva un giudizio pesante come un macigno per la vita di almeno tre generazioni di persone (inclusa la mia, ma anche quella dei miei figli, nati nei ‘90). E intendiamo cha ha condizionato la vita della nostra gente che, per non sentirsi apostrofata secondo quanto riportato nella colossale fake news creata ad arte dal Partito Comunista Italiano su di noi, ha dovuto fare di tutto, ma proprio di tutto, per sopravvivere, tranne delinquere (e le cronache dell’epoca ne sono testimonianza).

Dunque Lei è convinto che sia proprio impossibile: «…considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. » E ancora è convinto che: «I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi.»

Sarà, così, anche convinto che la dichiarazione spontanea di Milovan Đilas riportata dalla rivista Panorama il 21 luglio 1991 e mai smentita, sia una questione di second’ordine, non certo testimonianza sufficiente per affermare che bastava avere “sentimenti italiani” per poter essere perseguitati. Tanto per la cronaca, quella dichiarazione recita quanto segue: «Nel 1946 [cioè a guerra finita, n.d.r.] io e Edward Kardelj andammo in Istria ad organizzare la propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare alle autorità alleate che quelle terre erano jugoslave e non italiane. Certo che non era vero […]. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto».

Nella Sua lettera al Presidente Lei riporta fatti storici corretti, puntuali, atrocemente verificabili, ma il problema è che questi fatti sono tutti circoscritti durante il periodo bellico – oppure immediatamente successivi alla presa del potere del regime fascista, cioè dopo il ’22.

Noi, invece, continuiamo a dire ed a ripetere che, per capire la tragedia dell’Adriatico orientale, che ha visto la persecuzione anti-italiana svuotare quella terra della nostra storica presenza, occorre allargare la finestra di osservazione e ripartire almeno dalla disastrosa Terza Guerra di Indipendenza, persa sonoramente dall’Italia contro l’Austria, alla cui conclusione veniva redatto quel famoso decreto del Consiglio della Corona asburgica del 12 novembre 1866 secondo il quale: «Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno» (cfr. Sezione VI, vol. 2,  seduta del 12 novembre 1866, p. 297).

È da questa dichiarazione che nasce e prende corpo il nazionalismo jug-slavo (ovvero, la coalizione degli slavi del sud: serbi, croati, sloveni, ecc.) contro la popolazione italofona, quando ancora il fascismo non esisteva.

Il Comunismo, poi, è stato il grande ombrello sotto il quale tale nazionalismo è sopravvissuto ben oltre la fine della Seconda Guerra mondiale, tanto che al nostro appello, che tiene il conto anche del periodo postbellico, mancano tra le 10 e le 12mila persone: chi infoibate, chi fucilate, chi deportate e morte per stenti, chi annegate, in una scia di sangue che va dal ’43 a tutti gli anni ’50.

Dunque fa bene il Presidente Mattarella a parlare di pulizia etnica perpetrata con uccisioni di massa di persone colpevoli soltanto di essere italiane, perché proprio di questo s’è trattato.

In un bell’ articolo di qualche settimana fa, Adriano Sofri, rievocando su Il Foglio (14 dicembre u.s.) la tragica vicenda di Pinelli, afferma: «Non succede spesso che il rapporto, e il contrasto, fra l’attore e testimonio dei fatti, e i loro storici, si trovino uno di fronte agli altri, invocando l’uno la propria verità vissuta e gli altri la verità probabile di fonti e documenti».

Ecco, a noi esuli, nati nelle terre d’origine o in esilio o, come me, nei marginali insediamenti di profughi, tutto ciò succede da più di settant’anni, vale a dire che testimoni di fatti e dotti storici si trovino ad invocare, gli uni la verità vissuta, e gli altri fonti e documenti sempre e perennemente parziali, o di parte, od omissivi, o artatamente incompleti.

Noi non comprendiamo il suo giustificazionismo. Ci appare fuori da qualsiasi logica umana. Impone una visione aberrante della storia e rende impossibile ogni forma di prevenzione affinché tragedie simili possano essere evitate.

Potremmo discutere per ore, giorni, mesi ed anni, ma sono convinto che non riusciremmo mai ad avere una visione condivisa, né una mutua accettazione. E ciò è assolutamente inammissibile per una società che si impegni affinché tragedie simili non si ripetano.

Esiste un archivio estremamente documentato presso lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, l’archivio ‘H8’, che elenca meticolosamente con documenti ed immagini tutti i crimini commessi dall’Esercito in Italia e nei luoghi del conflitto della Seconda Guerra Mondiale. La Jugoslavia, aggredita dal regime fascista, era assegnata al generale Mario Roatta e ad Alessandro Pizio Brioli, principali responsabili, ma dietro a loro ci sono fior di nomi significativi.

Qualcuno ci può spiegare perché, anziché prendersela con gli autori delle nefandezze perpetrate in quella guerra, si continua a giustificare la tesi che, tutto sommato, le reazioni dei nazionalisti comunisti slavi erano “comprensibili” ancorché attuate dopo la guerra su popolazioni civili che nulla avevano a che fare con i crimini perpetrati durante la guerra da persone in uniforme, se non la condivisione della stessa lingua?

Quale giustificazione per le ritorsioni verso innocenti (ad esempio 54 preti piuttosto che 300 pescatori, un vescovo piuttosto che un agricoltore, ecc.) compiute a guerra finita come reazioni ad atti efferati commessi durante la guerra e per i quali i responsabili (Roatta in primis) godettero, prima, dell’amnistia firmata dal compagno Palmiro Togliatti nel 1946, all’epoca Ministro di Grazia e Giustizia e, dopo, di quella firmata dal Ministro Antonio Azara, sotto il governo Pella?

Quale astruso ragionamento dovrebbe giustificare il prezzo di colpe non commesse imposto a popolazioni autoctone inermi ed innocenti? Quale macabra contabilità può giustificare simili congetture?

La questione ci appare proprio irragionevole, sciocca, lesiva degli stessi principi di uguaglianza e di libertà, sbandierati dai comunisti come valori inalienabili.

Non solo, andando avanti nella lettura del Suo intervento, sembra anche che, sotto sotto, ci sia una naturale giustificazione per un Esodo di proporzioni bibliche che svuotò il 90% di un territorio (non il 90% degli italiani, ma il 90% dell’intera popolazione) come inevitabile conseguenza di un precedente esodo di popolazioni slave avvenuto all’indomani della Prima Guerra Mondiale nelle province di Gorizia, Trieste, Fiume, Pola e Zara (ma leggendo bene gli accurati dati dei precisi censimenti austriaci si può ben vedere come quelle popolazioni non fossero autoctone, quanto, piuttosto, indirizzate ad occupare quelle città come effetto della citata risoluzione della Corona Asburgica del novembre 1866).

Il problema di fondo riguarda il fatto che, chi è comunista non riconosce che le foibe, la persecuzione agli Italiani di Istria e Dalmazia, fascisti ed antifascisti che fossero (come tutto il CLN istriano, antifascista, ma non comunista, quindi… fascista!), è solo la punta di un iceberg che vede, nel ‘900, fiumi di sangue per chi non si allineava immediatamente con i regimi autoritari: ieri Stalin e Pol Pot, oggi Maduro o Xi Jinping (basterebbe considerare quanto stia succedendo ad Hong Kong per capire quale considerazione della “libertà dei popoli” abbia il regime comunista).

Eppure, ancora, basterebbe leggere Martin Pollack ed il suo “Paesaggi contaminati” per capire che dietro ridenti paesaggi carsici si nascondono efferatezze rivoltanti come Huda Jama in Slovenia, dove il metodo di eliminazione adottato dal regime jugoslavo era lo stesso di quello messo in atto con le nostrane foibe, ma su popolazioni diverse.

Nonostante la sua drammatica storia, la Slovenia, a differenza dell’Italia, è un grande Paese, perché ha saputo fare i conti con il proprio passato, istituendo una legge che riconosce il dramma della persecuzione politica (la cosiddetta Legge dei Torti) ed è talmente all’avanguardia che ha applicato quella medesima legge a centinaia di esuli italiani, provenienti dai territori che oggi sono Slovenia, riconoscendo il loro confinamento in un campo profughi come atto di persecuzione perpetrata in maniera ingiusta da un regime totalitario. Legge insufficiente, qualcuno potrebbe dire, ma, per lo meno la Slovenia prova a ristabilire il principio di centralità della persona e della sua umanità.

Lei sa meglio di me che il testo del rapporto storico sulle vicende del Confine orientale, elaborato dalla commissione mista italo-slovena, è insufficiente per la rilettura di ciò che ci è accaduto in Istria e Dalmazia. Del resto quel testo, redatto all’indomani della dissoluzione della Federazione jugoslava, aveva più lo scopo di riavvicinare due Paesi, uno dentro l’Unione Europea, l’altro non ancora, in momenti durante i quali sloveni, serbi, croati, montenegrini, bosniaci, erzegovini, ecc. se le suonavano di santa ragione tra loro, quando decenni prima lo facevano tutti insieme contro un’unica etnia (Srebrenica docet).

L’assurdità di paragonare/contrapporre Giorno del Ricordo e Giorno della Memoria è qualcosa di rivoltante, per la falsità della cosa in sé e, molto più, per l’ennesimo tentativo di cercare contrapposizioni anche dove non ve ne sono.

La proposta di Legge Menia che istituì il Giorno del Ricordo è il frutto di una lunga e laboriosa mediazione tra forze politiche durata anni. Si parlava, ancor prima dell’istituzione del Giorno della Memoria, di emanare una legge unica che tenesse in considerazione tutti gli eventi disastrosi perpetratisi durante la Seconda Guerra Mondiale. Le nostre Comunità erano d’accodo su questa linea. Fu scelto diversamente, e noi rispettiamo la decisione presa dal Parlamento, che votò a stragrande maggioranza, ma con l’opposizione di 15 deputati di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani, tutti impegnati sulla Sua medesima linea di giustificazione, minimizzazione, riduzione, ecc., che sono i seguenti: Armando Cossutta, Maura Cossutta, Titti De Simone, Elettra Deiana, Oliviero Diliberto, Alfonso Gianni, Francesco Giordano, Ramon Mantovani, Graziella Mascia, Giuliano Pisapia, Marco Rizzo, Giuseppe Cosimo Sgobio, Giovanni Russo Spena, Tiziana Valpiana, Nichi Vendola.

Per Lei e per i Suoi compagni ideologici il Giorno del Ricordo sarà di sicuro una “pietra di inciampo” sulla quale battere perché non sia il nazionalismo comunista il responsabile delle atrocità subite, ma, semmai, che esse siano la giusta conseguenza per efferatezze mai compiute da persone innocenti. Persone che, oggi, soffrono ancora perché non vengono considerate “uguali” agli altri italiani e che si vedono sistematicamente negare diritti che lo stesso Trattato del 1947, da Lei tanto decantato, garantiva: la conservazione dei beni di proprietà, usati, invece, per pagare un debito di una guerra non voluta.

Se Lei vuol far riflettere il Presidente Mattarella sulle Sue argomentazioni giustificazionistiche, noi, per contro, con il nostro desiderio che questa storia non abbia più luogo – e che si possa vivere finalmente in pace, liquidando una volta per tutte la contrapposizione politica che si gioca sulla nostra testa come se la Guerra non fosse mai finita –  vogliamo mettere in pratica in ogni modo quanto suggerito dal Presidente Mattarella nel suo ultimo discorso alla Nazione, almeno per quanto ci riguarda e per quanto è nelle nostre possibilità.

Vogliamo continuare, come facciamo da decenni, a trasformare in azione concreta e positiva una memoria nefasta, anche se persone come Lei tentano e tenteranno per sempre di mistificare la verità.

Con la nostra sofferenza, con il nostro oblio perpetrato negli anni, desideriamo testimoniare all’Italia intera che senza memoria, storia, cultura, accettazione del diverso, senza rispetto da offrire agli altri e pretendere per sé e per la propria identità, non esiste speranza per questa Nazione.

Argomentazioni come quelle da Lei riportate, parziali, faziose, indirizzate ad una narrazione partigiana, creeranno sempre un clima di odio e di tensione, un clima fertile per armare la mano del prossimo idiota.

Spero possa riflettere.

Ossequi.

Antonio Ballarin

Nato nel Villaggio Giuliano Dalmata di Roma

Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati

Roma, 6 gennaio 2020